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30.08.2010

Ticino punto zero

Recensione di Orazio Martinetti pubblicata dal settimanale Azione, agosto 2010, in occasione dell’uscita di Ground Zero #02/Cibo.

Il tasso di mortalità, per le riviste di cultura, è da sempre molto elevato. Per più ragioni. Quelle principali riguardano la continuità, la distribuzione, la fedeltà dei lettori. Poi, certo, c’entra anche lo spirito dei tempi, che come si sa è mutevole e bizzoso.

Qualche testata, nel recente passato, ha aggirato l’ostacolo scegliendo la soluzione della morte programmata: arriviamo fin qui e poi chiudiamo, senza singhiozzi e recriminazioni. È stata la via intrapresa da L’Almanacco di Bonalumi-Caratti (12 numeri) e dall’ Idra , il periodico di letteratura edito da Marcos y Marcos e diretto da Paolo Di Stefano ed Enrico Lombardi.

Anche l’ultimo nato, Ground Zero , ha deciso di darsi una data di scadenza: sparirà alla fine dei cinque numeri già messi in cantiere. Al ritmo attuale il decesso dovrebbe sopraggiungere intorno al 2013.

Ma che rivista è Ground Zero , titolo apocalittico, che evoca crolli, polvere, macerie, e purtroppo anche migliaia di morti? Possibile che la nostra contrada sia diventata un cratere fumante mentre gli abitanti attendevano gaiamente alle loro faccende? Spiegano i membri della redazione (Gregorio Cascio, Giona Mattei e Tommaso Soldini): « Ground Zero è una pre-rivista che desidera mostrare o ri-mostrare il Ticino che rimane una volta abbattute le torri della coscienza normalizzata e del sapere confezionato».

Vediamo. «Pre-rivista» attesta la prudenza dei redattori: significa che si è ancora ad uno stadio preliminare e provvisorio; l’impresa è appena agli inizi, la forma ancora incompiuta e il percorso negoziabile. Siamo quindi di fronte ad un prodotto sperimentale, destinato a variare di numero in numero.

«Mostrare o ri-mostrare il Ticino»: qui siamo al cuore dell’impresa. Una ricognizione dei luoghi nell’era della «città diffusa», del terziario avanzato e dell’urbanizzazione tentacolare. Il Ticino come periferia nord di Milano; le migrazioni e la mobilità; la proliferazione dei centri commerciali, i cantieri infiniti e la vita notturna… Una sorta di «presento il mio Ticino» di Zoppi scagliato nella postmodernità, tra internet e trilli di telefonini, hamburger e sostanze psichedeliche.

«Le torri della coscienza normalizzata e del sapere confezionato». È il punto in cui emerge l’ambizione del gruppo e lo spirito di militanza, dove avviene l’aggancio con gli anni ’70, il periodo della riscoperta della Scuola di Francoforte e di concetti come «falsa coscienza», «alienazione» e «cultura dominante».

Questo spirito «underground» è d’altronde palese nella linea grafica, che ricorda appunto molti periodici di controcultura italiani nati intorno al ’77, l’anno del «movimento», degli «indiani metropolitani» e dell’esplosione delle radio libere. Il testo (poesia e prosa) è circondato, anzi assediato da un accumulo di elementi iconici, come fotografie, disegni, fumetti, collages… Ground Zero appare come la sede di una folla di linguaggi che si intersecano, specchio di una realtà ricca e plurale, ma anche frantumatae perciò sempre più indecifrabile.

Ogni numero un tema. Il primo ha preso in considerazione i «luoghi». Ora siamo al «cibo». Chi mangia troppo, chi poco, chi ingoia di tutto, chi vomita. Ossessioni e patologie legate all’alimentazione. Ma anche riti e descrizioni delle cattedrali del consumo, che tutto livella e appiattisce. In controluce è facile scorgere influenze pasoliniane (l’«omologazione») e lo sguardo tipo «noi, i primitivi» dell’antropologia moderna. Gli autori all’inizio erano tutti giovani, perlopiù docenti; ora all’iniziativa si sono aggregati critici e autori come Michele Dell’Ambrogio e Giovanni Orelli. Caleidoscopica nella grafica, Ground Zero si prefigge di radiografare il Ticino contemporaneo attraverso un sistema ottico particolare, soggettivo e parziale. Ed è questo punto di vista che rende la rivista, anzi la «pre-rivista», originale e perciò degna di attenzione.

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